Gianluca Peciola
“Il mio è un libro salvifico, perché la storia dei legami familiari è materia limacciosa, e per me lo è stata ancora di più“
Gianluca Peciola, scrittore, educatore professionale, formatore sui temi del Welfare e collaboratore parlamentare di Avs (Alleanza Verdi e Sinistra) in Senato, sin da giovane milita nei movimenti sociali.

Oltre a coordinare dei progetti in ambito sociale, culturale e ambientale, è attivista per i diritti umani e si è dedicato ad attività istituzionali in qualità di amministratore locale.
‘La linea del silenzio. Storie di famiglia e di lotta armata’ è il suo ultimo libro. Uscito il 12 aprile 2024 per le edizioni Solferino e possibile candidatura al “Premio Strega” da parte degli “Amici della Domenica”, che ha selezionato un primo gruppo di trentadue libri, è stato presentato lo scorso 25 febbraio alla biblioteca Penazzato di Roma.
Qui Peciola ha incontrato l’attivo circolo di lettura, raccontando l’idea del testo, nata dalla sua incredibile storia personale.
Gianluca Peciola: la vicenda personale
Negli anni Settanta Gianluca è un bambino che abita con la sua famiglia, al Quarto Miglio, nella periferia sud-est di Roma, dove vive un’infanzia serena, almeno fino a quando per chi gli sta intorno non è più possibile contenere gli argini della “linea del silenzio”.
E così l’onda d’urto della verità viene a galla con tutta la sua crudezza. Scopre dalla tv che l’adorata cugina, Anna Laura Braghetti, non è andata a Milano per lavorare, ma è dietro le sbarre per essere stata la carceriera di Aldo Moro, e per aver ucciso, assieme a Bruno Seghetti, il vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura, Vittorio Bachelet.
Ma le sorprese per il piccolo Gianluca non sono ancora finite. Quando ha intorno ai 10 anni la mamma gli svela che lo zio Giorgio, in realtà è suo padre, e che di conseguenza Anna Laura non è la cugina, ma la sorella.
Abbiamo colto l’occasione di porre qualche domanda all’autore che ha catturato, con le sue parole, l’attenzione delle persone presenti.
Gianluca Peciola, come è nata l’idea de “La linea del silenzio”?
“È la storia della mia vita, che ho tenuto segreta per troppo tempo. Scrivere della mia infanzia e della mia gioventù è stata una liberazione. Il mio è infatti un libro salvifico, perché la storia dei legami familiari è materia limacciosa, e per me lo è stata ancora di più.”
Il libro colpisce per la sua onestà. Ci sono tanti personaggi, ma rispetto a molte altre storie di lotta armata, non traspare alcun intento ideologico. Come ci è riuscito?
“Ho cercato di scrivere la verità, avendo la consapevolezza che avrei dovuto espormi in modo totale, raccontando le cose come sono andate. Un libro così, di esposizione totale è il libro della vita, e alla fine devi essere giusto con tutti.“
Cercando di andare oltre “La linea del silenzio”?
“Sì, certo: questo è stato l’intento. In quegli anni dominava il silenzio, bisognava stare zitti, il silenzio era un obbligo politico. In questo testo il silenzio è un personaggio. E la linea è un concetto che mi ha sempre affascinato, perché io tendo spesso a essere lineare nel capire, nel soffermarmi, nello spiegare.“
Quando però racconta della rivelazione di sua madre, invece, lo fa in modo veloce e meno analitico. Per quale motivo?
“Il capitolo in questione è quello più breve ed è anche quello sul quale ho lavorato di più, perché sentivo che, una volta ascoltata la verità, mentre assieme a mia madre attraversavo la strada su un tappeto di foglie marce, non c’era più bisogno di ulteriori spiegazioni. Mia madre mi sussurrò improvvisamente: ‘ti devo dire un segreto’ , e mi spiegò che quello che per anni era stato mio zio Giorgio, in realtà era mio padre. Ma non dovevo dirlo a nessuno. La notizia fu per me una stilettata. Ho mantenuto fede al suo volere per 20 anni. Allora c’erano delle regole abbastanza rigide, non esisteva il divorzio, non c’era la legge per il riconoscimento dei figli fuori dal matrimonio.”
Ne “La linea del silenzio” parla di sua sorella ma anche della riscoperta di un padre.
“Lo conoscevo come zio Giorgio, uno zio acquisito in quanto mia madre era la cugina della moglie di Giorgio, ovvero la mamma di Anna Laura Braghetti, che allora era per me mia cugina. Quando morì la moglie, Giorgio si risposò , ma poi si separò ed è allora che cominciò la storia con mia mamma, negli anni tra il ‘67 e il ’68. Sono nato nel ’70 e, dalla ricostruzione che ho fatto, la loro era una storia d’amore, complicata dal contesto culturale di quell’epoca. Zio Giorgio morì d’infarto nel ’74, quando avevo 4 anni.”
“In quegli anni dominava il silenzio, bisognava stare zitti, il silenzio era un obbligo politico. In questo testo il silenzio è un personaggio.“
E il rapporto con sua sorella riprese quando cominciò ad andare a trovarla al carcere di Voghera?
“Sì, quel periodo non fu facile per me. Pensavo continuamente a ciò che Anna Laura aveva fatto. La prima visita in carcere è stata molto traumatizzante: ricordo il clima di tensione, gli sguardi torvi che ci rivolgevano le guardie carcerarie, anche se noi non c’entravamo nulla con le scelte di Laura.”
Com’è cambiato, con gli anni, il rapporto con sua sorella?
“Tra noi ci sono 18 anni di differenza, da cugina è sempre stata una figura presente nella mia infanzia. Quando scoprii che faceva parte delle ‘Brigate Rosse’ rimasi scioccato, perché sapevo che avevano commesso degli atti terribili . All’inizio non volevo andare a trovarla in carcere, ma poi ci siamo parlati e ho capito che era importante che lo facessi. E, paradossalmente, in quello che è il luogo della privazione della libertà, io ero libero di essere me stesso. Solo lì ero figlio di Giorgio e il fratello di Anna Laura.”
Nel libro sembra quasi che sua sorella, man mano che lei cresceva e faceva le sue esperienze, sia stato il suo “mentore”. In un momento in cui lei, per esempio, non ne voleva più sapere della scuola le disse, cito un passaggio del libro: “Studia Gianluca, devi studiare. Non ti emancipi senza studio. Tua madre e tuo zio Nicola non hanno studiato e si sono trovati a sgobbare sotto padrone tutta la vita. Studia, se vuoi batterti con chi è più potente di te, devi sapere più di lui”.
“Sì, penso che lei mi abbia salvato e le devo tanto. Nel carcere mi sono trovato a vivere una sorta di opportunità unica, di formazione, di crescita emotiva. Mia sorella, sia con le lettere dal carcere sia nei colloqui, mi ha fatto capire che se anche mio padre non mi aveva voluto riconoscere, mi aveva molto amato e che era stato sempre presente, lo testimonia le foto del battesimo e dei miei primi compleanni.”
Sua sorella Laura è stata condannata all’ergastolo, ma gode di liberta condizionale. Il rapporto con lei continua.
“Sì, il nostro è un normale rapporto tra fratello e sorella.”
Nel libro Anna Laura ammette: “Non sarebbe stata giusta una società creata da noi, non si realizza nulla di buono se le premesse sono quelle che abbiamo creato, con tutti quei morti e la scia di dolori lunga chissà fino a quante generazioni”. Qual è il suo pensiero a tal proposito?
“Niente e nessuno può giustificare l’assassinio di una persona, l’annullarsi della sacralità della vita umana.”
Anna Merola
Ringraziamo di cuore Gianluca Peciola per la sua disponibilità nel rispondere alle nostre domande.