Paolo Triestino
“La bellezza è bisogno intrinseco dell’uomo, dai tempi dei graffiti nelle caverne ai murales di Banksy. Così per la musica o il teatro: dalle farse fescennine al teatro di oggi“
L’affermato autore, attore e regista teatrale, Paolo Triestino, dopo “Guanti bianchi”, già è a lavoro per preparare un altro spettacolo. Infaticabile, dall’animo gentile e assolutamente paziente, con lui abbiamo parlato di bellezza, di arte e di teatro.

E proprio il suo ultimo spettacolo ci è stato d’ispirazione per installare una conversazione con lui, con l’obiettivo di comprendere quanto l’arte e la bellezza possano istruire al rispetto, all’amore e rendere le persone migliori.
Ha calcato il palco sin da giovane, quasi per gioco, e da quel momento non ha più smesso. Insiti in lui sono il senso del divertimento e del drammatico, presenti nella sua vita di ogni giorno.
Capace dunque di sdrammatizzare gli aspetti dell’esistenza attraverso i testi che scrive, commistione intelligente di serietà e sarcasmo. Nei suoi spettacoli veste i panni di diversi personaggi, parlando di varie tematiche con ironia e dispensando sorrisi al pubblico.
Il teatro quindi diviene uno spazio ampio che accoglie e abbraccia sia chi recita sia la platea. Ogni giorno, il teatro è scoperta, un viaggio che appassiona ognuno di noi.
Paolo Triestino, lei è un attore e regista teatrale affermato e versatile. Ha fatto della comicità la sua cifra stilistica. Questa sua peculiarità la mette al servizio del pubblico per parlare di argomenti anche di spessore e curiosi che possono insegnare qualche cosa in modo anche ironico. Come riesce a conciliare il serio e il faceto nei suoi testi?
“Credo che l’importante sia raccontare una storia cercando di essere credibile. Il comico ed il drammatico è presente nella vita di ogni giorno. Io provo a raccontarla, essendo consapevole che con un sorriso si possono dire anche cose importanti. Penso, inoltre, che
far ridere è arte pura, è dono del cielo. Le risate che raccolgo son sempre frutto di un lungo studio. Ammiro i colleghi che con uno sguardo riescono a strappare risate. Non ho quel tipo di mimica. Nella mia carriera ho comunque interpretato ruoli di tutti i tipi, dal drammatico al brillante. Che poi mi piaccia spesso affrontare testi che coniugano divertimento e riflessione è senz’altro vero, perché (come diceva Frank Capra) ‘se vuoi lanciare un messaggio, la cosa migliore è far ridere’.”
Cosa l’ha spinta a cavalcare il palcoscenico: quando è scoccato l’amore per il teatro?
“La mia timidezza. Mia madre recitava in una compagnia amatoriale, ma non credo sia stato questo a spingermi verso il teatro. È capitato per caso. Degli amici allestivano nella parrocchia vicino casa una ‘Passione di Cristo’ ed ho detto: ‘“‘se vi serve qualcuno…’. Mi è piaciuto salire sul palco dove non ero più io, ma qualcun’altro. Improvvisamente mi sentivo sicuro, non come fuori da lì.”
L’abbiamo vista più volte in scena: ha parlato di amore in “Que serà”, di cioccolata in “Note di cioccolata”, di arte in “Guanti bianchi”. Quali sono le sue fonti di ispirazione?
“La curiosità, che sicuramente mi spinge a osservare ciò che mi circonda e le persone che gravitano intorno a me. Così arrivano le idee, oppure leggo qualcosa che mi travolge o che mi rimanda a qualcos’altro.”
Se andiamo ad approfondire il tema dell’arte, per esempio, in “Guanti bianchi” – andato in scena al teatro Vittoria di Roma dal 23 gennaio al 2 febbraio scorsi – lei delizia la platea parlando della stessa. Qui si cala nei panni di Antonio, un trasportatore d’arte e di conseguenza ne diventa un divulgatore. Quanto parlare di arte, anche con sarcasmo, stimola le persone a carpirne e comprenderne segreti e tecniche?
“Moltissimo. Ed è bello ascoltare da ragazzi frasi come ‘se avessi insegnanti come lei, amerei l’arte’. E vale sempre il discorso di prima.”
Il Comunicato Stampa recita: “Antonio ci fa capire le opere d’arte con incredibile profondità, perché in tutta la vita ha avuto tempo di guardarsele e riguardarsele, e di capirle meglio dei professori.”Dunque, chi trasporta le opere d’arte gode dell’opportunità di guardarle e ammirarle spesso e da vicino, capirle meglio degli esperti. Ci chiarisce meglio questo concetto?
“Ho conosciuto diversi ‘movimentatori’ e davvero la loro frequentazione con l’arte, la costante vicinanza con le opere può a lungo andare innescare un percorso di interazione straordinario, quasi osmotico. Hanno spesso a che fare con direttori di musei, storici dell’arte ed ascoltano, toccano, osservano. Poi rielaborano. Sono fantastici.”
Quanto calarsi nei panni di Antonio ha svegliato in lei l’amore per l’arte se già non l’aveva?
“Molto. Ora, ad esempio, guardo ‘Amor Sacro e Amor Profano’ di Tiziano con occhi differenti. Ho capito quel quadro, primo lo osservavo e basta.”
Ha avuto così la possibilità di approfondire le sue competenze in storia dell’arte e se sì, qual è il periodo della storia dell’arte che l’appassiona particolarmente?
“Senz’altro. Il Romanico, per esempio, mi travolge.”
Il suo artista preferito?
“Se parliamo di teatro, rispondo senza esitazioni Gianrico Tedeschi. Un attore meraviglioso. Il suo ‘Le ultime lune’ l’avrò visto sei-sette volte, ogni volta con rinnovata emozione. Oggi sarà lassù ad appassionare ancora. Per quanto riguarda l’arte, cito con certezza Caravaggio, per i suoi chiaro-scuri potenti e per le suggestioni che mi rimanda.“
Sappiamo che i guanti bianchi sono uno strumento indispensabile per chi viene in contatto con le opere d’arte, per non deturparne fattezze e bellezza: assumono altresì un significato metaforico?
“Come potrebbe non essere così? Non si dice spesso ‘lì ti trattano coi guanti?’. Significa avere ed ottenere riguardo, rispetto.”
All’interno della narrazione viene rimarcato con forza il concetto di bellezza. Essa può curare ma soprattutto sorprendere. Di questi tempi quanto è importante insistere nel divulgarla?
“A mio avviso moltissimo. Capire la bellezza, significa capire il rispetto e, in ultima provocazione, forse anche l’amore.”
Quale è stato il criterio di scelta delle opere da mostrare in scena?
“Ci serviva un percorso cronologico che abbracciasse un arco temporale lunghissimo. Ovviamente abbiamo tralasciato infiniti capolavori, ma era inevitabile. E un paio di opere erano necessarie agli snodi drammaturgici.”
Si va da quelle classiche alle contemporanee: secondo lei, cosa rimane e cosa impara la platea dopo aver assistito alla rappresentazione?
“Che per capire l’arte non servono paroloni e studi infiniti. Basta cuore aperto e curiosità, tanta.”
Quanto ha appreso dalla drammaturgia di Edoardo Erba, liberamente ispirata alla guida “L’arte spiegata ai truzzi” di Paola Guagliumi?
“Ne ammiro profondamente l’abilità della scrittura. Il suo procedere circolare.”
L’omicidio di Willy Monteiro Duarte, uno spaccato della nostra attualità, in che modo entra nello spettacolo? Perché inserire tale avvenimento?
“È la tragedia che spinge Antonio, movimentatore di opere d’arte in pensione, a raccontarne la ‘bellezza’. Egli è convinto che se si comprende cosa sia la ‘bellezza’, si possa capire anche l’amore, il rispetto. È il suo piccolo contributo, il suo modo per provare a rendere migliore il piccolo mondo che lo circonda. Antonio, dunque, è convinto che divulgare l’arte ai suoi concittadini può arricchire i loro animi.”
L’arte quindi può essere un modo per recuperare gentilezza e buone maniere contro la violenza dirompente di oggi?
“Lo spero profondamente.”
In che modo arte e teatro si conciliano?
“Sono declinazioni diverse della stessa attitudine. La bellezza è bisogno intrinseco dell’uomo, dai tempi dei graffiti nelle caverne ai murales di Banksy. Così per la musica o il teatro: dalle farse fescennine al teatro di oggi.”
Infine, cosa è per lei il teatro, come lo vive e lo affronta ogni volta?
“È ancora un gioco meraviglioso. Poter essere qualcuno che non si è, tirar fuori un angolino di sé e amplificarlo. Scelgo le cose da fare e cerco di evitare, nei limiti del possibile, le cose che non mi interessano. Questo mi conserva con gli occhi di bimbo. Ogni volta è una scoperta, un viaggio appassionante da condividere.”
Annalisa Civitelli
Ringraziamo Paolo Triestino per la sua immensa gentilezza, pazienza e disponibilità amichevole all’intevista.