Dal 25 al 30 marzo al teatro Litta milanese è andato in scena ‘Le due inglesi’ tratto dall’omonimo romanzo di Henri-Pierre Roché. Diretto da Paolo Bignamini la rappresentazione che racconta di sentimenti e di un sistema patriarcale intriso nella società di fine ‘800
Non uno spettacolo sull’amore fisico, ma uno spettacolo fisico sull’amore. Così è stato presentato ‘Le due inglesi’ che al teatro Litta di Milano porta in scena il film più sofferto di Francois Truffaut, ma soprattutto. il romanzo epistolare di Henri-Pierre Roché da cui entrambi traggono origine.

Se tuttavia il romanzo utilizza appunto la distanza della parola per tracciare gli sfumati contorni delle relazioni del giovane parigino Claude con due sorelle gallesi, Ann e Muriel, la strutturale compresenza a cui li obbliga il palcoscenico, oltre a ridurre la complessità della narrazione al suo nucleo, le relazioni vivide e mutevoli tra i tre personaggi, fa dipanare il loro rincorrersi, allontanarsi e poi cercarsi quasi in contemporanea.
Accentuando – quantomeno nel percepito -, appunto, la volubilità sentimentale e personale tutta tipica dei vent’anni: la scoperta di se stessi, degli slanci affettivi e delle passioni, che passano dai corpi o dal loro desiderarsi e poi si consumano rapide come una scintilla. È un gioco da bambini, con tutta la loro leggerezza e disperazione.
Le due inglesi: il crudele sistema patriarcale
Lo è, forse come lo sarebbe oggi, anche se siamo al tramonto dell’Ottocento, in quell’aristocrazia del gran tour che scivola agilmente tra le lingue e i Paesi quasi senza sforzarsi: sono i figli di un mondo che, oggi, chiameremmo globalizzato e nelle loro menti di privilegiati colti, probabilmente, lo era già.
Fino a che, almeno, non interviene un mondo di prima, arido, retrivo, che nella voce piena di affettazione rinchiude questi ragazzi, tra scoperta e ingenuità, nelle maglie strette di un’educazione pronta a fermarli con mezzi più sottili: regole morali o religiose, angosce punitive ed educazione alla sofferenza.
Che colpisce, sempre e comunque, prima di tutto le donne: se il giovane rampollo, pur correndo il rischio di scontare una sconfitta sarà costretto a farlo sul piano emotivo, la repressione delle donne passa dal corpo ovvero da un’inculcata ossessione di purezza che rende Muriel prigioniera di un rapporto drammatico con tutto ciò che è corpo o vincolo o dall’imprigionamento – a ben guardare solo travestito da condiscendente acquietamento – anche di chi come Ann prova a prendersi il diritto su di sé e il proprio desiderio, pur con tutta l’ingenuità di chi sta scoprendo la realtà.
A vincere, alla fine dei conti, è tuttavia e di continuo, il sistema patriarcale, pronto a incombere come un maestro crudele che segni sulla lavagna i buoni e i cattivi – suggestiva la scenografia di archi di grafite, che si modulano e scompongono segnalando il passare del tempo e poi lavando via le memorie di quella destinata a restare una parentesi – mentre ai bambini a prescindere dall’età non resta che continuare a rincorrersi.
Un momento di felicità
O passarsi, proprio come un giocattolo, l’occasione di un momento di felicità: come fanno le due sorelle, che a lungo mettono la felicità dell’altra davanti alla propria – questo è, secondo molti adagi, l’amore – e spingono Claude prima verso la sorella, o fanno squadra tra loro, anche dentro al metaforico ring in cui il mondo le sta, pur inconsapevoli, rinchiudendo.
Fino a che – con la brutalità del passaggio di crescita, anche questa nuova possibile via di equilibrio mostra la sua fragilità.
Nel suo conservare un elegante sapore retrò, e un sicuro effetto evocativo di ricordi, fosse anche solo quelli dei linguaggi che lo hanno veicolato, ne emerge uno spettacolo sublime, scritto con raffinatezza, che si giova soprattutto, per evitare la patina passatista, di tre attori sicuri ed efficaci.
Stefano Annoni, Maria Laura Palmeri e Leda Kreider vincono la sfida di non soccombere a un testo potenzialmente insidioso nella sua distanza dal presente e dimostrano un talento da non perdere di vista.
Ci riescono anche grazie alla scelta registica e drammaturgica di Paolo Bignamini: utilizzare con saggezza la prerogativa del teatro. Fare azioni dei pensieri, e persino dei sentimenti, restituendo, proprio col corpo, tutta la vitalità di quello che ci si muove dentro, non soltanto da ragazzi.
Chiara Palumbo
Foto: Federico Buscarino
MTM Teatro Litta | Milano
Le due inglesi
dal 25 al 30 marzo
dal romanzo di Henri-Pierre Roché – ed. Gallimard
traduzione Ena Marchi (edizione Adelphi)
Drammaturgia e regia Paolo Bignamini
con Stefano Annoni, Leda Kreider e Maria Laura Palmeri
Spazio scenico e costumi Nani Waltz e Michele Sabattoli
Disegno luci Fabrizio Visconti
Musiche originali e sound design Jacopo Bodini e La Scapigliatura
Aiuto regia Giulia Asselta
Training Boxe Francese Savate Giulia Zini
Produzione Centro Teatrale Bresciano
progetto “Classici e scena oggi” a cura di Paola Ranzini – Institut Universitaire de France e Avignon Université in collaborazione con Università degli Studi di Milano – Dipartimento di Beni Culturali e Ambientali