Jingbo Wang ed Edoardo Bonfissuto
“Riteniamo che una solida preparazione individuale sia fondamentale per una performance musicale di successo“
Amanti della musica di tutte le età, siamo entusiasti di presentarvi due giovani musicisti di talento: Jingbo Wang, violoncellista cinese di Yinchuan, ed Edoardo Bonfissuto, pianista siciliano.
Li abbiamo incontrati in occasione del “Concerto di Pasquetta”, nell’ambito dei Concerti del Tempietto – Festival Musicale delle Nazioni che si tengono al teatro di Marcello di Roma. Entrambi si sono incontrati, appunto, nell’ambito di questo evento per proseguire la loro formazione musicale ed incontrare il pubblico romano.
I giovani talentuosi musicisti hanno alle spalle un background di tutto rispetto: Jingbo, membro dell'”Ensemble di Violoncelli del Conservatorio di Roma”, passa dagli studi del sassofono a quelli del violoncello, mentre Bonfissuto batte i tasti del pianoforte sin dall’età di otto anni. Nel 2019, vince il primo premio al Concorso pianistico “Eleonora Kojucharov”.
Per il Concerto di Pasquetta decidono di suonare il repertorio che appartiene ai compositori Brahms e Beethoven, una sfida per Wang e Bonfissuto i quali spiegano che l’intento è stato ottenere un suono omogeneo, “cercando di fondere” i loro strumenti in un'”unica entità sonora“.
Uniti da una solida amicizia, inoltre, i due raccontano di come si siano preparati per l’evento, studiando, approfondendo “le opere e le intenzioni dei compositori” in un continuo scambio di idee riguardo le scelte interpretative – per poi fonderle insieme -, al fine di esprimere loro stessi al meglio.
Infine, Wang e Bonfissuto rimarcano quanto siano essenziali i concerti, momenti in cui condividono le emozioni e la loro anima con il pubblico.
Jingbo Wang ed Edoardo Bonfissuto, quali sono stati gli aspetti più sfidanti e gratificanti nell’interpretare le opere di Beethoven e Brahms durante il Concerto al Tempietto?
“Sicuramente, l’aspetto più impegnativo di questi brani per noi interpreti è la loro mole. Le ‘Sonate n. 3’ di Beethoven e ‘n. 1’ di Brahms sono pezzi di notevole estensione e ricchezza musicale. La sfida principale risiede nella necessità di mantenere la coerenza della struttura complessiva, integrando i vari elementi musicali in modo fluido. Il fine principale su cui ci siamo concentrati prima del concerto, e su cui continueremo a lavorare, è stato ottenere un suono il più omogeneo possibile, cercando di fondere il violoncello e il pianoforte in un’unica entità sonora. Questo obiettivo è cruciale soprattutto quando si affrontano autori come Beethoven e Brahms.”
Come avete affrontato l’interpretazione di queste opere, cercando di esprimere al meglio il loro carattere e le loro emozioni?
“Riteniamo che una solida preparazione individuale sia fondamentale per una performance musicale di successo. Per il resto, abbiamo la fortuna di condividere una sana amicizia anche al di fuori della musica, per cui abbiamo potuto affrontare i mesi prima del concerto in un continuo scambio di idee sulle nostre scelte interpretative, per esempio dove e perché inserire un respiro o una determinata dinamica. Abbiamo dedicato molto tempo a esplorare a fondo le opere e le intenzioni dei compositori, al fine di comprendere appieno il significato emotivo delle frasi musicali e di tradurlo poi in scelte interpretative.”
C’è qualche particolare dettaglio o momento musicale delle opere di Beethoven e Brahms che vi ha colpito particolarmente durante la preparazione e l’esecuzione ai Concerti del Tempietto?
“Il tipo di situazione che più ci soddisfa (per altro molto frequente nella musica che abbiamo suonato), sono i dialoghi tra uno strumento e l’altro. D’altronde, questo è lo spirito della musica da camera: non c’è un pianoforte che accompagna e un solista che suona la sua parte. La musica richiede che emerga prima uno strumento poi l’altro, mentre voci di contrappunto e di accompagnamento supportano il canto. Ci sono momenti in cui questo dialogo si fa estremo e diventa quasi una ‘staffetta di note’: ad esempio in Beethoven capita che il violoncello suoni una scala e la lasci sulla stessa nota dalla quale poi il pianoforte la continua, realizzando così un passaggio del testimone, una comunione di intenzioni musicali. Da un punto di vista analitico, noi amiamo lo sviluppo del primo movimento della ‘Sonata di Beethoven’. Un tema dolce e cantabile conduce, con grande stacco dinamico, alle quartine infuocate del violoncello, dalle quali emerge al pianoforte lo stesso tema, ma ormai forte e addirittura sotto forma di ottave spezzate. Tutta questa tensione accumulata si scioglie nuovamente nel tema dolce e cantabile, adesso in un’altra tonalità e con un botta-risposta tra i due strumenti che probabilmente solo Beethoven poteva realizzare.“
Come avete scelto di affrontare il repertorio di Beethoven e Brahms in termini di interpretazione stilistica e approccio emotivo durante il concerto? Avete seguito qualche particolare scuola interpretativa o avete cercato di creare un vostro stile unico?
“Ovviamente anche noi ci ispiriamo ad alcune registrazioni modello, per le ‘Sonate’ che abbiamo presentato sono quelle di ‘Sol Gabetta’ e di ‘Rostropovich’. Tuttavia, il prodotto finale che presentiamo al pubblico è la sintesi di tre elementi: ciò che è scritto nello spartito, che è imprescindibile; le registrazioni che usiamo come modello; e ciò che ogni musicista ha dentro di sé, cioè un mondo di note, di emozioni, di vita vissuta differentemente da tutti gli altri. Per cui, anche se non possiamo raggiungere l’autonomia totale, abbiamo cercato di esprimere noi stessi al meglio.”
Durante l’esecuzione delle opere di Beethoven e Brahms, avete avuto qualche momento di improvvisazione o di libertà interpretativa? In che modo avete cercato di bilanciare la fedeltà alla partitura con la vostra espressione personale?
“Per noi artisti, ogni concerto rappresenta un’unicum irripetibile. Durante l’esecuzione dal vivo abbiamo una sola chance, siamo chiamati a condividere con il pubblico tutte le nostre emozioni e la nostra anima, rendendo ogni nota un momento prezioso. L’elemento più affascinante (e anche forse il più temibile) delle esecuzioni dal vivo è l’imponderabile: la possibilità che capiti qualcosa di inaspettato, che dovremo far partecipe della nostra musica. Non abbiamo avuto momenti di vera improvvisazione, ma delle libertà interpretative si rendono necessarie sulla base di molte considerazioni (per fare solo due esempi: l’acustica non è quella a cui siamo abituati nella sala prove, il volta-pagine è lì per la prima volta e non ha studiato esattamente tutti i momenti in cui entrare in azione). In ogni caso, quello che rende speciali i concerti è proprio questo elemento casuale, imprevedibile, che ci costringe a vivere a pieno ogni nota.”
Filippo Novalis
Foto: Chiara Masia
Ringraziamo Jingbo Wang ed Edoardo Bonfissuto per la loro disponibilità all’intervista.