Stefano Starna
“La povertà è una condizione di esistenza che non determina chi siamo, ma il sistema capitalista vuol farci credere invece che valiamo se possediamo cose, se consumiamo, se mostriamo di avere, tutte cose che peraltro ci isolano dagli altri“
Abbiamo incontrato l’attore, doppiatore e speaker romano Stefano Starna il quale, con il suo spettacolo “Naufraghi da marciapiede”, la scorsa settimana è stato in scena al teatro Cometa off di Roma.
Ispirata alla figura di Evio Botta, poeta e attore, denominato il Re dei barboni, la pièce è scritta dallo stesso Starna, diretto da Nicoletta Della Corte e affiancato dall’accompagnamento musicale di The Niro.
Abbiamo cercato così di approfondire la delicata tematica degli indigenti che oggi giorno sembra dilagare sempre più e che Stefano conosce da vicino, essendo stato anche volontario per la Caritas, il Centro ricerca e cura della balbuzie e diverse Ong internazionali.
Stefano Starna: fare del bene è rivoluzionario
Il quadro che l’attore ci descrive non è idilliaco: il consumismo come il capitalismo sono complici di certe circostanze e comportamenti ormai quotidiani e che coinvolgono tutti noi, siamo loro prede. Si tende all’isolamento sociale e ci si sente distaccati dai reali problemi del paese.
Inoltre, l’indifferenza verso chi vive per strada per scelta o per povertà, si accentua creando un forte divario sociale. I poveri si ritrovano abbandonati sia dal sistema sia dai cittadini che passano accanto a loro senza notarli.
Questo è il motivo che ha spinto Stefano Starna a raccontare gli invisibili con la speranza che il pensiero di tutti cambi volto e modifichi il modo di approcciarsi verso, appunto, queste figure emarginate. Perché fare del bene senza ottenere nulla in cambio rivoluziona le vite di ciascuno di noi.
Stefano Starna, entriamo subito nel vivo dell’intervista: il suo spettacolo si ispira alla figura di Evio Botta, poeta e attore, denominato il “Re dei barboni”. Perché raccontare le persone ai margini?
“Negli ultimi vent’anni credo che siamo passati dall’era del consumismo reale attraverso il consumo materiale all’era del consumismo attraverso quello digitale che comprende sia quello materiale sia virtuale delle nostre identità. In parole povere siamo passati dall”io sono perché ho e lo mostro al mondo’ al ‘io sono perché mostro attraverso i social quando sto bene una vita fittizia fatta solo di felicità di successo’: in questa situazione abbiamo sentito la necessità di mettere in mostra ancor di più chi è invisibile.”
Come ha conosciuto Evio Botta e cosa l’ha affascinato di questa particolare figura?
“Ho conosciuto Evio nel 1996/97 a piazza Santa Maria in Trastevere (RM). Era vestito da Virgilio e aveva appena fatto un suo pezzo teatrale. Parlammo a lungo e mi regalò le sue poesie. Mi affascinò moltissimo la sua incredibile umanità nonostante fosse in una condizione piuttosto difficile, perché senza fissa dimora. Aveva in sé una profonda dignità e metteva a servizio la propria cultura e la sua socialità, il suo essere sociale, per migliorare le condizioni della sua categoria.“
Di conseguenza che rilevanza ha la figura di Botta nella realtà di oggi e cosa ancora ci racconta?
“Ci racconta la solidarietà, la fratellanza, l’ironia, l’autoironia, la generosità, l’essere critici ovvero tutte caratteristiche insite nell’essere umano a prescindere dalla sua condizione economica o sociale, cosa che invece spesso noi ‘normaloidi’, come ci chiamava lui, dimentichiamo. Tendiamo, appunto, a marginare le persone senza tetto o senza fissa dimora nella loro condizione di malessere, il più lontano da noi, perché noi vogliamo vivere nel benessere o meglio inseguire un presunto benessere.“
Botta si candidò per provocazione come Sindaco di Roma al fine di attirare l’attenzione sulle battaglie riguardo il diritto alla casa. È ancora in essere questa iniziativa e, se sì, in che modo sta evolvendo?
“Sono passati parecchi anni e non esistono più oggigiorno provocazioni politiche del genere. La battaglia per i diritti alla casa è oggi attuale più che mai. A Roma, in particolar modo, ci sono migliaia di case sfitte e centinaia di migliaia di persone in emergenza abitativa e questa è una realtà che va avanti da decenni, ormai. Non è più sostenibile.“
In questi tempi così veloci che cosa rappresenta la lentezza della vita dei senza tetto?
“La lentezza della vita del senzatetto è purtroppo un’illusione. Ogni giorno per un senza fissa dimora, infatti, il problema principale è dove andare a lavarsi, dove andare a mangiare, come procurarsi il denaro per le proprie necessità e il tutto avviene in genere in città molto grandi e quindi in spazi da attraversare che richiedono tempo. Quindi, in realtà, la vita di un senzatetto non ha un ritmo lento, ha un ritmo rallentato di fatto più difficoltoso. Non bisogna confondere la stanchezza, un effetto del vivere in strada e che porta molti senza tetto a cercare di dormire il più possibile con l”Otium latino‘.”
Questi ultimi possono essere considerati osservatori del mondo?
“Sì, forse sì. Ma la visione romantica del clochard che ha scelto di vivere ai margini della società racconta una realtà di pochi. Sono pochi quelli che di fatto hanno deciso, hanno scelto questa condizione. La maggior parte ci si è ritrovata per molteplici motivi e poi si è in qualche modo abituata a sopravvivere in quella situazione.“
Tendiamo a marginare le persone senza tetto o senza fissa dimora nella loro condizione di malessere, il più lontano da noi, perché noi vogliamo vivere nel benessere o meglio inseguire un presunto benessere
A seguito di queste considerazioni in che modo ha concepito lo spettacolo ispirato a Botta e come ha pensato all’interpretazione del suo personaggio?
“Ho dovuto cercare a fondo nella memoria avendolo conosciuto negli anni ’90 ma, grazie al documentario di Cristina Mantis ‘Il carnevale di Dolores’, molti ricordi sono riaffiorati. Tuttavia, il carattere di Evio rimane indimenticabile: ironico, autoironico, critico, simpatico, gentile. Ho voluto portare in scena queste caratteristiche di Evio, un veicolo per raccontare le storie di molti attraverso il suo approccio alla vita.“
Stefano Starna, perché si tende sempre più all’imperante divario socio-culturale?
“È il capitalismo sfrenato che crea questa forbice, chi ha lavoro ha dignità, chi no non più. La povertà è una condizione di esistenza che non determina chi siamo, ma il sistema capitalista vuol farci credere invece che valiamo se possediamo cose, se consumiamo, se mostriamo di avere, tutte cose che peraltro ci isolano dagli altri.“
I barboni vivono per la strada: a volte è questione di scelta personale, altre invece si finisce per vivere come un accattone per ragioni di povertà. Che spiegazioni si dà
“Le motivazioni per le quali una persona possa finire in strada sono moltissime: la scelta dell’oblio la chiamano gli operatori sociali, la scelta della strada però non è la prima. Molti però non scelgono, ci si ritrovano per tantissime cause, poi col passare del tempo si abituano a quei ritmi, entrano nella macchina dell’assistenzialismo che sì, ti fa mangiare, ti fa lavare, ti dà vestiti, ma poi resti là su una panchina a chiedere l’elemosina. Le persone che vengono recuperate, quelle che vengono reinserite nella società sono una percentuale molto bassa, rispetto ad altri paesi europei siamo lontanissimi. Ci sono invece paesi dove la figura del senzatetto non esiste, i cittadini vengono monitorati e il welfare-state si attiva prima che una persona finisca in strada.“
In che modo, dunque, si potrebbe debellare il fenomeno dei senza fissa dimora
“A mio avviso dovrebbero essere stanziati molti più fondi per la prevenzione del fenomeno: una maggior presenza sul territorio di operatori sociali, centri di ascolto, case famiglia. Si dovrebbe pertanto lavorare sul recupero e il reinserimento in maniera massiccia, non in modo emergenziale come avviene da decenni.“
Perché secondo lei si tende all’indifferenza di fronte alle persone in difficoltà?
“Perché gettare uno sguardo su una persona in una condizione di indigenza di quel livello fa paura, è una condizione nella quale chiunque potrebbe finire, e questo lo sappiamo tutti. Perciò evitiamo il problema. È il rifiuto, il terrore di finire così che ci fa girare la testa dall’altra parte. Mi ha sempre scioccato il fatto che a volte ci sono delle persone sul marciapiede magari addormentate, buttate a terra, e molti gli passano accanto come se non esistessero, dando per scontato che stiano dormendo o siano ubriache. Ma la domanda è: se vedeste una signora o un signore ben vestito a terra non andreste a scuoterlo? a chiedergli se sta bene? Magari quel senza fissa dimora lì in quel momento si è sentito male, ma nessuno se ne preoccupa, perché siamo abituati a vederli per terra e pensiamo che sono quello che sembrano, dei rifiuti, non più degli esseri umani recuperabili che sono in una condizione e con le dovute cure potrebbero uscirne!“
Lei conosce bene questo mondo, poiché è stato volontario della Caritas e ha collaborato con diverse Ong internazionali. Quanto si porta dietro da queste esperienze, come ci si sente a stare insieme ai più poveri e quanto valore si dà all’aiuto senza ricevere nulla in cambio?
“Ho avuto tante esperienze ma ci tengo a precisare che non opero più nel sociale da tanti anni, ero ‘Adest’, il vecchio OSS. Devo dire che il contatto con chi soffre mi ha aperto la mente, mi ha aperto il cuore, mi ha aiutato a mettere in ordine le priorità della vita: di conseguenza si comprende quanto siano importanti salute, affetti, beni primari, un tetto sulla testa, l’acqua che esce dal rubinetto. Queste esperienze mi hanno aiutato a controllare le induzioni al consumismo che la società ci propone ogni giorno; per quanto riguarda il dare e avere, credo vivamente che quando dai ricevi moltissimo in cambio, molto più di quanto non ti aspetti e molto più di quanto hai dato, e credo che la motivazione nel darsi agli altri sia alla fine poco importante, l’importante è farlo. Per molti l’altruismo puro è un’illusione e forse è così, ma non è importante ripeto, quando tendiamo la mano verso chi ha bisogno ciò che conta è che lì in quell’istante qualcuno lo stia facendo non se lo faccia per sentirsi buono o per un grazie, ma che lo faccia.“
Per questa rappresentazione lei collabora con The Niro, cantautore e compositore romano, e Nicoletta Della Corte, attrice e cantante: quanto è importante lavorare insieme alle colleghe/i al fine di ottenere un risultato finale ben confezionato?
“Fondamentale. Non avrei mai portato in scena ‘Naufraghi da marciapiede’ così com’è senza le loro idee, la loro sensibilità, la loro esperienza. Nicoletta Della Corte è una regista meravigliosa, la quale ha fatto un montaggio stupendo della rappresentazione, grazie a delle intuizioni di altissimo livello culturale ed etico, mentre Davide (The Niro) ha una potenza emotiva impressionante; ad ogni rappresentazione mi commuovono le sue canzoni e poi ha creato dei pezzi originali per questo spettacolo che sono dei veri gioielli.“
Infine, che tipo di musiche si ascolteranno?
“Ci sono una ventina di interventi musicali, che vanno dalla musica popolare alle canzoni di Piero Ciampi, ma lo zoccolo duro musicale dello spettacolo è la produzione meravigliosa di quello straordinario artista, cantautore-pittore e stilista che è The Niro.“
Annalisa Civitelli
Foto: Serena Dattilo
Ringraziamo Stefano Starna per la sua disponibilità all’intervista e alla sua estrema sensibilità verso il tema trattato.