Nasce una nuova rete: i ‘Locali per pensare’. Il progetto si pone l’obiettivo di riscoprire il piacere dello stare insieme, di parlare con l’altro e di prendersi una pausa dalla tecnologia, dai social, dai like e dai selfie. Riconquistare quindi quei momenti di socialità reale, con le “persone vere”, grazie alle premesse che ci riportano al passato
L’idea che sta prendendo piede nel nostro Paese sin dal 2019, nasce durante la presentazione di un libro di Valerio Corvisieri su Luisa Spagnoli, dove è intervenuta la scrittrice Dacia Maraini. In quell’incontro, i due, insieme a Francesca Silvestri, ricordano e rimpiangono i bar e i caffè letterari degli anni ’50 e ’60, luoghi di aggregazione giovanile dove parlare, confrontarsi, condividere idee, incontrarsi e fare cultura.
Quanto di più lontano dal frastuono dei locali moderni, sempre più alienanti, dove per comunicare occorre un megafono: parlare con gli altri infatti è un’impresa così stressante che alla fine si rinuncia.
Ulteriormente, la musica ad alto volume e gli schermi giganti, che trasmettono immagini psichedeliche o eventi sportivi, rendono ardua anche una semplice chiacchierata.
Ci si sente un po’ come in un acquario: per respirare e infrangere l’isolamento occorre uscire dal locale.
“Il paradosso cui siamo giunti è che un tempo, quando si era in strada e si voleva parlare tranquilli con qualcuno, si diceva ‘andiamo dentro’; oggi, se sei in un locale, si dice ‘andiamo fuori’, perché dentro, per farsi sentire, bisogna gridare”, spiega Corvisieri.
È da questa comune riflessione, quindi, che nasce l’intuizione dei ‘Locali per pensare’ – di cui Corvisieri e la Silvestri sono promotori –, un circuito virtuoso lontano dal rumore e dalla folla.
Uno spazio di condivisione culturale e sociale: ristorante o pub o sala da tè in cui sedersi, degustare, mangiare e parlare, con calma, lentamente e a voce bassa. Oppure leggere, riflettere, “sognare forse” (come direbbe il buon Amleto!). Insomma, dove raccogliere le proprie idee anche in solitudine, magari per buttare giù appunti e scrivere poesie.
L’esempio è efficace, l’idea molto semplice
Prendersi una pausa dalla tecnologia dunque diviene sempre più urgente. Essa infatti lentamente ci sta risucchiando in un mondo di comunicazione e di contatto apparente, in cui la costante reperibilità ci rende schiavi.
“Quando si evita a ogni costo di ritrovarsi soli, si rinuncia all’opportunità di provare la solitudine: quel sublime stato in cui è possibile raccogliere le proprie idee, meditare, riflettere, creare e, in ultima analisi, dare senso e sostanza alla comunicazione. Certo, chi non ne ha mai gustato il sapore non saprà mai ciò che ha perso, ha lasciato indietro, a cosa ha rinunciato”. (Z. Bauman)
Ebbene, la necessità di rifugiarsi in luoghi tranquilli e accoglienti è ora un’esigenza sociale contemporanea – in antitesi con la rapidità odierna – che coinvolge sempre più persone, desiderose di riscoprire il piacere dell’ascolto, di comunicare e scambiarsi impressioni.
Il giornalista e scrittore Gianluca Nicoletti – non a caso – in un suo articolo su La Stampa ricorda che caffè, trattorie, osterie, enoteche e ristoranti “hanno rappresentato per tutto il ’900 luoghi privilegiati in cui si incontravano e si confrontavano gli intellettuali che hanno contribuito alla nascita di nuove correnti di pensiero, espressione artistica, evoluzione sociale”.
Anche lo psichiatra Paolo Crepet nel suo libro “Libertà” (Edizioni Mondadori) segnala che è urgente riflettere “sulla nocività di un lento, implacabile avvelenamento” causato dal rumore: “il rumore che ha invaso ogni angolo e momento della nostra quotidianità” […], un’invasione di chiasso che sembra escogitata proprio per inibire il sorgere di qualsivoglia pensiero, critica, ironia, autoironia, senza i quali non c’è, né ci sarà libertà vera”.
Il regolamento
I locali che aderiscono al progetto, già molti in tutta Italia, devono rispettare un apposito decalogo: dieci semplici regole da seguire per essere riconosciuti come spazi in cui lasciare fuori dalla porta il rumore della quotidianità e contrastare, per citare una delle più note pubblicità di “Carosello”: “il logorio della vita moderna”.
La possibilità è quindi di interagire con gli altri seguendo le norme scritte dai fondatori dei ‘Locali per pensare’ che prevedono musica a basso volume, aree minime per socializzare, e locali in sintonia con il territorio circostante.
Inoltre, non sono permesse TV ma si possono esporre libri o opere artistiche, ospitare eventi culturali e altre iniziative volte a far pensare, appunto. I ristoranti sono provvisti di menù alla carta di filiera corta e stagionale e nei bar, invece, c’è la possibilità del servizio al tavolo.
Infine, non dovrebbe mancare un angolo per socializzare, con dei posti a sedere e dei tavolini, in cui il silenzio e l’assenza di chiasso abbracciano quello dell’incontro. Gentilezza e sorrisi, con cui accogliere chi varca la soglia di un ‘Locale per pensare’, sono essenziali: anticipano un ambiente caldo e confortevole, in cui sentirsi a proprio agio.
“Bisogna creare luoghi per fermare la nostra fretta e aspettare l’anima”. (Tonino Guerra)
Ivana Barberini
Foto dal web