L’Accènto editoriale
di Annalisa Civitelli
L’Accènto: Editoriale 117.
La Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne
L’onda rosa e i rumori delle piazze
Dopo l’omicidio di Giulia le manifestazioni del 25 novembre scorso hanno avuto più risonanza rispetto al passato. Una massa che si è riversata nelle piazze e nelle vie di Roma e altre città italiane che ha fatto rumore. Il mio Editoriale 117., vuole oggi puntualizzare su alcune questioni e riflettere su altre.
Tutt’oggi si fanno dei sondaggi su cosa significhi sia il termine femminicidio sia il fatto in sé come ci si interroga sulla parola patriarcato ritornata in voga perché espressa dalla sorella di Giulia, Elena Cecchettin: “In questi giorni molte persone hanno additato Filippo Turetta come un mostro, come un malato. Ma lui mostro non è, perché un mostro è l’eccezione della società, mostro è quello che esce dai canoni normali. Ma lui è un figlio sano della società patriarcale che è pregna della cultura dello stupro“.
Dunque, che cosa si intende per patriarcato?
Lo spiega bene Roberta Scalise nel suo articolo su https://www.robadadonne.it:
“Soffocante e discriminatorio, il patriarcato vige ancora fiero nelle nostre società, ghettizzando uomini e donne in ruoli e stereotipi di genere che limitano libertà e autoderminazione”.
Quindi se partiamo da questo concetto significa rinchiudere, limitare, mettere il lucchetto alle persone, le quali saranno sempre soggette a decisioni e idee altrui.
Ecco ciò che significa patriarcato: insidioso, è un bavaglio alla bocca e all’anima messo a un singolo
Se quest’estate andavo a vedere “Barbie” che sdogana la bambola – dal 1959 gioco più in voga della Mattel che conquista bimbe e ragazzine e che in questo contesto viene incarnata da Margot Robbie -, incentrandosi velatamente sulla rivendicazione femminile e sul candido desiderio di divenire umana, ieri pomeriggio mi sono recata al cinema per godermi il film che sta entusiasmando la platea e di cui i rotocalchi parlano sotto molti aspetti.
Ebbene, Paola Cortellesi, comica, cantante, attrice e ora anche regista e interprete del suo lungometraggio, disegna un’opera degna di essere vista nelle scuole, ma anche in altri spazi educativi in cui poi i ragazzi e le ragazze possano decrittarne ogni singola scena.
Soprattutto i ragazzi: per far comprendere loro, nel profondo, quanto ancora la mentalità patriarcale sia radicata nella nostra società e mini l’esistenza delle donne, la loro libertà. Perché è viva la necessità di estirparla in modo radicale.
Editoriale 116.:
un lavoro dalla trama perfetta
“C’è ancora domani” è azzeccato in tutte le sue forme creative: dalla costruzione della sceneggiatura al montaggio, dal tappeto musicale – che seppur include anche musiche contemporanee si rivela eccezionale ed equilibrato – alla scelta del bianco e nero, dalla recitazione di tutti i protagonisti ai temi affrontati tra ironia amara, crudeltà, giusta tensione e vulcanico sentire che rappresentano i tempi del dopo guerra, che strizzano l’occhio al contemporaneo.
Sì. Se l’attrice-regista da una parte si ispira ai racconti di cortile romani che le sue nonne le narravano da piccola, il lavoro dall’altra si può definire moderno, poiché ricalca il senso di possesso della donna da parte dell’uomo, come quelle angherie dalle quali non si poteva fuggire; a quei tempi era così e si doveva stare a bocca chiusa.
Neanche la donna più audace, più furba, più sveglia poteva permettersi di esprimere la sua opinione, altresì rispetto allo stipendio che riceveva. L’uomo aveva sempre l’ultima parola, e lo schiaffo arrivava anche per futili motivi o incidenti domestici.
E di questo fatto ne è esemplare una scena, quella più emblematica che mette ko spettatrici e spettatori, resa leggera, elegante ovvero meno drammatica, dall’idea geniale della Cortellesi.
Il neorealismo nella modernità
Gli intrecci si incastrano, respirano vivaci nelle sequenze che richiamano – nel bianco e nero – un certo neorealismo, il movimento culturale italiano sviluppatosi durante il secondo conflitto mondiale e subito dopo la guerra, che per di più utilizza riprese esterne e mette al centro disagi e difficoltà della vita dopo il conflitto.
Un escamotage che la regista affronta con maestria.
Le storie conservano il sapore di ciò che accadeva anni addietro mediante l’uso del dialetto romano ben definito come il concetto di resistenza, il resistere per amore di qualcuno. Un sottile ma grande sentimento che forvia chi guarda. La Cortellesi, infatti, sul finale scardina ogni schema, cambia aspettative e prospettiva della platea.
Ed è lì che si incide sulle nostre menti l’importanza dell’emancipazione femminile.
“C’è ancora domani” è dunque sia complicità con l’amica migliore sia mettere a tacere l’uomo, in quanto le donne si liberano dai loro fardelli per finalmente manifestare e sfoggiare idee, personalità, forza e determinazione. Per appartenere alla vita collettiva.
È la prima volta infine che a fine proiezione nascono spontanei applausi calorosi. È difatti un film da vedere, che rappresenta le donne, parla agli uomini, narra un pezzo della nostra storia che fa fatica ad essere sdradicata.
“C’è ancora domani” se lo merita e per il terzo fine settimana consecutivo conquista la classifica degli incassi, superando di netto l’americano “The Marvels”.
Il cinema italiano può conquistare il mondo, e se sono le donne a renderlo migliore allora temo che questo fattore indichi una rivoluzione decisa.