Lo scorso sabato 28 settembre, all’interno del Festival Musicale delle Nazioni – Concerti del Tempietto, Giovanni Narici e Angelo Jannoni Sebastianini hanno intrattenuto il pubblico in un suggestivo evento pomeridiano, unendo poesia e rock con la sensazione di assistere a una rivoluzione metapolitica
Esplosione. Però, non di quelle che ti aspettavi. Non un semplice boato, ma una detonazione cosmica che ha sconvolto ogni certezza, che ha raso al suolo la superficie banale del reale per far esplodere dentro di noi un nuovo universo.

Sabato 28 settembre al teatro di Marcello per i Concerti del Tempietto – Festival Musicale delle Nazioni, Giovanni Narici e Angelo Filippo Jannoni Sebastianini non si sono limitati a suonare o recitare: hanno creato.
Nel farlo, hanno innescato una rivoluzione metapolitica che ha risucchiato l’intero pubblico in un vortice dove il pensare ha vinto sul sentire, e il volere ha chiamato in causa l’universo stesso.
Narici e Jannoni Sebastianini: rock e poesia, materie vive
Il rock, quello vero, non è morto. Anzi, è rinato. Ma non è più quello che conoscevamo. Narici ha preso la carcassa del rock e, come un dio della fucina, l’ha trasformata in qualcosa di nuovo. Il suo rock non è semplice nostalgia per il passato glorioso, non è una vecchia gloria che si trascina stancamente sul palco.
È materia viva, plasmata e forgiata sotto il martello del pensiero che edifica, del volere che desidera l’universo intero. Ogni nota era dunque un colpo, ogni accordo una scossa che vibrava nelle ossa di chiunque fosse presente, rimodellando non solo il suono, ma lo spazio stesso.
E poi c’è Angelo Filippo Jannoni Sebastianini. Non un attore, non un narratore, ma un creatore di mondi. La sua voce non è solo suono, è un’incarnazione del pensare liberatore.
Quando ha dato vita ai versi di Montale e dei grandi poeti, non stava semplicemente declamando: stava aprendo portali. Ogni parola era un viaggio nell’infinito, una sfida al sensibile, una chiamata al risveglio di forze primordiali che sono dentro di noi, ma che il mondo reale sopprime. Non recitava, invocava.
Narici e Jannoni Sebastianini: tempesta perfetta
In quella sera al Chiostro di Campitelli, il reale non esisteva più. È stato soppiantato, cancellato, sostituito da un regno nuovo, più vero di qualunque materialità potesse mai offrire la città eterna. Le mura antiche di Roma non erano più fredde pietre, ma si sono fuse con l’onda sonora che Narici e Jannoni Sebastianini lanciavano contro di esse.
Si sono fatte vive, vibranti. Un cosmo nuovo ha preso forma: qui il sentire sottomette, tuttavia il pensare libera e il volere plasma. E noi, piccoli esseri umani, siamo stati scossi da questo potere creativo, trascinati oltre le barriere del conosciuto.
Narici è stato il demiurgo di un nuovo ordine sonoro, il suo basso una leva per sconvolgere la gravità dell’esistenza. Ogni ritmo, sonoro e vocale, era una scheggia, un pezzo di realtà che esplodeva sotto i colpi del suo martello musicale. Il rock, nella sua forma più pura, più scarna, è tornato. Non quello delle mode, però, non quello degli idoli del passato.
Questo rock è il fuoco che incendia l’anima. È il suono di una cultura che ha deciso di svegliarsi dalle ceneri del servilismo e urlare contro le catene che ci hanno tenuti prigionieri per troppo tempo.
Jannoni Sebastianini, con il suo spirito ribelle, ha trasformato la poesia in tempesta. La sua voce ha sollevato un’onda che si è infranta contro la mediocrità del presente, spazzando via ogni compromesso. Ogni verso era un fendente, un’esplosione di significato che lanciava il pubblico in un viaggio senza ritorno, dove il pensiero non è solo riflessione, ma forza creatrice.
Quella sera, il pubblico non ha assistito a un concerto. Ha partecipato a una rivoluzione. Non c’erano solo suoni, non c’erano solo parole: c’era un mondo che nasceva e moriva continuamente davanti ai loro occhi. La musica era pensata, voluta, vissuta. E il reale? Il reale non contava più. Abbiamo visto oltre, abbiamo percepito cosa vuol dire volere l’universo.
Narici e Jannoni Sebastianini hanno orchestrato un’esperienza che ci ha ricordato, come un tuono in una notte silenziosa, che esistere significa creare. Hanno strappato via il velo della realtà e ci hanno mostrato che l’universo è nostro, basta volerlo.
Filippo Novalis
Notti romane al teatro di Marcello
Concerti del Tempietto
Festival Musicale delle Nazioni
28 settembre
Musica e poesia
Giovanni Narici basso
Angelo Jannoni Sebastianini voce recitante