‘Mi chiamavano Tina’ è andato in scena alla Fondazione La Nuova Musica per il Milano Fringe Off 2025. Una rappresentazione che porta sul palco una lezione civile – quasi -, una testimonianza che ci ricorda la valenza della figura della combattente Modotti
Come raccontare una figura che tiene insieme molte identità: artista, combattente, viaggiatrice, fotografa? In due parole, Tina Modotti?

Manuela Fischietti, che porta al Fringe Milano Off international Festival ‘Mi chiamavano Tina’, alla Fondazione La nuova musica, sceglie una formula che si avvicina a quella della lezione–spettacolo, corredata di slide e materiali d’archivio, e la via della franchezza.
Quella con cui in prima persona si é domandata, tra le molte possibili, su quale traccia seguire i passi di una donna con cui condivide ascendenza (il padre operaio) e postura verso il mondo, ma di cui e una sfida fermare tutte le sfumature.
Mi chiamavano Tina:
Nella sua multiformità, tuttavia, la donna nata a Udine nel 1896 e morta all’improvviso a Città del Messico 46 anni più tardi, solo per l’anagrafe Assunta Adelaide Luigia Saltarini Modotti, ha seguito, sempre, una linea di rigorosa coerenza ideale e politica, ed è lungo quella che la rappresentazione l’accompagna.
Negli Stati Uniti, prima, dove raggiunge la famiglia emigrata saggiando tutto l’affanno e la durezza di chi cerca un nuovo posto al quale appartenere, e poi nel Messico che per lei si trasforma nel paradiso degli artisti.
Esiste però una narrazione più comune, di Modotti, che la vuole fotografa di realtà, sì, ma leggendo tra le righe il suo essere calata in essa come un intento sostanzialmente artistico.
In questa lettura un po’ neorealista si inserisce anche il racconto di Modotti bohemien, e una geografia di amori conquistati sì dal suo fascino di donna decisa e volitiva, ma che sembrerebbero quasi tracciarne l’esistenza.
Il Partito Comunista: appartenenza lucida e decisa
È invece certo, l’amore può essere motore delle lotte, tuttavia a ben guardare sono le sue, scelte, a mutare il corso della storia. E lo sono, soprattutto, quando la fanno virare verso l’altra faccia della medaglia: la combattente, ritratta da Diego Rivera – amico, come Frida Kahlo e i muralisti – mentre proprio insieme a Frida distribuisce fucili e detta ordini a un mondo che vuole cambiare.
Un cambiamento che per lei ha la forma del Partito Comunista e di un’appartenenza, lucida e decisa, che la porterà per suo conto in giro per il mondo, da Mosca alla spagna Franchista che le ruba un sogno ma non ne spegne la fame.
Il vivido ritratto che ‘Mi chiamavano Tina’ compone e accosta, anche sulla scena, eloquenti istantanee, composte dalla regia di Maura Pettorusso, per far emergere dal loro insieme una vita, tra la verità dei corpi – il suo e quelli altrui – e grandi vessilli rossi che garriscono.
Mi chiamavano Tina: arte, funzione di vita
Un omaggio a un’esistenza in cui l’arte è funzione della vita, non il suo contrario, e mentre lascia gli abiti colorati dell’artista per i cappotti lunghi della militante diventa chiaro come tutto si regga sulla stessa radicale lotta contro il fascismo.
Questo è un lavoro di testimonianza, come quella che Modotti consegna ad Edward Wenston antico amore ma sempre interlocutore delle urgenze che emergono dalle sue lettere dai quattro angoli del mondo, denso di passione civile e di voglia – appagata, anche nello spettatore – di restituire la tridimensionalità di una figura di cui troppo spesso si illumina soltanto un’angolatura.
Una pièce importante e limpida, piena della stessa passione che ben si legge aver guidato Modotti nelle scelte e nelle opere, per far conoscere al mondo una donna libera abbastanza da restare leale alle convinzioni ma non, necessariamente, alle strutture gerarchiche o alle aspettative del mondo quando non erano disposte o capaci di procedere al suo passo.
Riscattando, insieme alle persone per cui ha lottato, la voce di tutte le donne che la storia spesso lascia ai margini e nel buio, Tina Modotti ha voluto e combattuto la sua rivoluzione, e – questa rappresentazione lo dimostra – se non l’ha vinta ha fatto, e continua a fare, la funzione che Eduardo Galeano attribuiva all’utopia: nonostante il mondo, anche in direzione opposta, continuare a camminare.
Irene Sereia Villani
Festival Fringe Milano Off 2025 – Fondazione La Nuova Musica
Tina Modotti
Sulle tracce di una rivoluzionaria antifascista
9-10-11-12 ottobre
Regia Maura Pettorusso
di e con Manuela Fischietti
con il sostegno di Fondazione Caritro e Comune di Trento
in collaborazione con Centro Servizi Culturali Santa Chiara, Harpolab Trento e Circolo Fotografico Modotti di Bolzano
Produzione Rifiuti Speciali
