Lo scorso 15 ottobre si sono accesi i riflettori sulla Festa del Cinema di Roma alla sua ventesima edizione. Tra i tanti titoli, un documentario spicca per intensità e verità: ‘Hollywood tra l’Aniene e il Tevere’ di Mario Musumeci, un’opera che racconta la Roma perduta della Technicolor
‘Hollywood tra l’Aniene e il Tevere’ non è un documentario. È un requiem luminoso, un’elegia industriale con l’anima accesa come una pellicola che gira lenta, tra il ronzio dei proiettori e il battito di cuori umani in dissolvenza.

‘Hollywood tra l’Aniene e il Tevere’ di Mario Musumeci, proiettato il 20 ottobre alla Festa del Cinema di Roma XX edizione (dal 15 al 26 ottobre), è il canto funebre e amoroso di una Roma che non esiste più, quella dei tecnici col grembiule macchiato di chimica e delle bobine che odorano di celluloide e sudore.
Non la Roma da cartolina o da Cinecittà patinata, ma quella della Tiburtina, dove il cinema nasceva dal fango e finiva in gloria, tra gli orti, le borgate e la polvere delle fabbriche.
Hollywood tra l’Aniene e il Tevere: l’immagine era materia
Musumeci non fa un film sul cinema, bensì un film del cinema, nella carne stessa della settima arte. È come se un laboratorio Technicolor avesse preso vita e decidesse, prima di morire, di raccontare la propria storia.
La voce narrante è il respiro stesso delle macchine, un canto di ferro e nostalgia. Tutto vibra di un’epoca in cui l’immagine era materia, colore, rischio, non un codice binario né un filtro Instagram. La pellicola era una bestia viva, e qui torna a parlarci, ferita, bellissima, irrimediabilmente mortale.
Il documentario si apre come un romanzo industriale di Pasolini riscritto da Tarkovskij. Ogni inquadratura è un frammento di archeologia emotiva: corridoi in disuso, sale di proiezione spente, pareti che respirano ancora il lavoro e le risate di chi ha dato tutto per la magia del colore.
“L’anima della Technicolor di Roma, dice Musumeci, non è nei titoli di coda, ma negli occhi di chi ha visto Bertolucci e Fellini affidare al colore la salvezza dell’immaginazione.” Storaro, Rotunno, Tovoli – nomi che qui diventano sacerdoti di un culto perduto.
La verità nuda del tempo
La regia di Musumeci è misurata, umile, ogni fotogramma vibra come se fosse inciso col sangue. Niente retorica, niente glorificazione museale. Solo la verità nuda del tempo: il lavoro che si spegne, la memoria che resiste, la città che cambia pelle.

C’è una scena (o meglio: un respiro) in cui il regista si ferma sullo scheletro del vecchio stabilimento di via Tiburtina. Le finestre sfondate, la luce che filtra come un miracolo su un altare profano. È lì che il film tocca l’assoluto. Non più storia industriale, ma epifania: la Roma delle macchine e dei sogni, di chi produceva bellezza senza saperlo.
Musumeci costruisce la sua narrazione come una sinfonia di voci e sussurri: ex operai, tecnici, direttori della fotografia, registi, intellettuali. Nessuno parla davvero di sé, tutti parlano del Cinema come fosse un amante che li ha lasciati ma che continuano a sentire nel letto.
È commovente, a tratti quasi indecente nella sua verità. Non c’è distanza: l’autore è dentro la storia, ci cammina dentro con rispetto e rabbia, come un figlio che torna tra le rovine della casa paterna.
Il sottotesto da non sottovalutare
Il ritmo è dolce e straziante insieme. Ogni parola pesa come una pietra, ogni immagine scivola in un’altra come un ricordo che non vuole morire. La musica di Vittorio Giannelli e Patrizio Petrucci non accompagna, respira insieme alle immagini: suoni sospesi, battiti sommersi, una malinconia che ti scava dentro. È la colonna sonora di un addio che non finisce mai.
In ‘Hollywood tra l’Aniene e il Tevere’ c’è anche un sottotesto politico, sottile ma feroce: la dismissione del lavoro culturale, l’abbandono dell’artigianato, la sostituzione del sapere con la semplificazione digitale.
Technicolor muore non perché finisce un’epoca, ma perché qualcuno decide che la memoria non serve più. E Musumeci, con questo lavoro, urla contro quell’oblio. Non con rabbia, ma con tenerezza: quella che solo un uomo che ha passato la vita tra le pellicole può provare.
Alla fine, ‘Hollywood tra l’Aniene e il Tevere’ non è una cronaca: è una resurrezione. Il cinema italiano rinasce per un’ora — quella che basta a Musumeci per ricordarci che siamo fatti di luce riflessa, di ombre che si muovono. È un poema-documentario che abbraccia la città e le sue ferite, un atto d’amore che sa di benzina, emulsione e umanità.
Dunque, se il digitale è l’oblio, questo film è memoria viva. Non ti lascia mai andare. Ti ricorda che anche nel più grigio dei capannoni abbandonati può accendersi, per un istante, il bagliore di un Technicolor che non smetterà mai di proiettare il sogno del cinema sulle pareti del mondo.
È poesia, sì – una poesia con il grasso sotto le unghie e il cuore dentro la macchina da presa. Una poesia che cammina sull’argine dell’Aniene, guarda Roma, e dice: “Eravamo luce. Lo siamo ancora.”
Filippo Novalis
Festival del Cinema di Roma – ventesima edizione
dal 15 al 26 ottobre
Hollywood tra l’Aniene e il Tevere
20 ottobre
di Mario Musumeci
Scritto e diretto da Mario Musumeci
Intervistati in ordine alfabetico: Giancarlo Barberi, Paolo Berdini, Vittorio Bonini, Giancarlo Chetta, Adriana Chiesa, Daniele Ciprì, Antonio D’Arienzo, Ranieri De Cinque, Maurizio Iacoella, Giuseppe Lanci, Bruno Marchetti, Daniele Nannuzzi, Nazzareno Neri, Marco Pagni, Grazia Pagnotta, Davide Piastra, Federico Pierotti, Cristina Priarone, Christian Raimo, Francesco Rutelli, Mario Sesti, Gino Sgreva, Vittorio Storaro, Aldo Strappini, Luciano Tovoli e Pino Venditti
Assistente alla regia Ludovico Cantisani
Fotografia Giulio Bottini
Musiche originali Vittorio Giannelli e Patrizio Petrucci
Montaggio Barbara De Mori
Genere Documentario
Durata 60 minuti
Lingua Italiano
Produttore Augusto Pelliccia
Produttrice creativa Tatiana Forese
Produttore esecutivo Ludovico Cantisani
Produzione Estra Digital
