A quasi dieci anni dalla sua nascita, Instagram, il social network per la condivisione di fotografie, ha cambiato faccia più volte e continua a farlo abbandonando tuttavia sempre di più la sua funzione originale per trasformarsi giorno dopo giorno in una sorta di gigantesco spazio pubblicitario
Instagram è il social network dedicato alla fotografia più usato nel mondo: sviluppato da Kevin Systrom e Mike Krieger, è stato lanciato il 6 ottobre 2010 e in poco più di un anno è diventato disponibile per tutti i sistemi operativi di smartphone e tablet. Attraverso questa applicazione, all’epoca rivoluzionaria, gli utenti hanno avuto la possibilità di scattare fotografie e modificarle applicando filtri, effetti e correzioni come in un vero laboratorio fotografico – tutto sul proprio telefono – prima di condividerle in rete.
Soltanto dodici mesi fa gli utenti attivi quotidianamente sul social network erano 500 milioni (19 milioni in Italia) e il numero cresce costantemente tanto da fare di Instagram il social più amato e utilizzato. Al di là dello scopo per il quale è nato, vale a dire la condivisione in rete di immagini più o meno belle, Instagram si è subito manifestato come un sistema per raccontare anche qualcosa di se stessi con l’uso massiccio e crescente di selfie e fotografie egoriferite ma sempre in modo quasi ingenuo e disinteressato.
Il piacere di mostrare alla rete la propria prospettiva si è però presto spezzato come un incantesimo e naturalmente l’evento è accaduto non appena il social network è diventato motivo di guadagno: aziende di qualsiasi natura hanno iniziato a contattare gli utenti Instagram con un seguito notevole (dai 10000 follower in su) e sono riusciti ad ottenere da alcuni di questi delle collaborazioni inizialmente “segrete”.
Improvvisamente le ragazze che fotografavano loro stesse con addosso l’ultimo abito comprato hanno iniziato a scrivere didascalie alle proprie pubblicazioni con le quali quegli abiti venivano abbondantemente descritti, evidenziando con attenzione di quale marchio fossero; i fotografi di viaggi hanno cominciato a tessere le lodi degli alberghi in cui erano ospiti; amanti della tecnologia si sono trasformati in una sorta di televenditori di oggettistica di vario genere: ognuno di essi attraverso il proprio profilo Instagram. Pubblicità vera e propria, e se agli esordi di questa abitudine il compenso all’instagrammer consisteva nel ricevere in dono il bene da sponsorizzare (una borsa, un rossetto, un weekend in una struttura termale, un orologio) col tempo quelli più bravi, quelli in grado di lavorare davvero come imbonitori e far crescere sempre di più il proprio seguito, hanno iniziato a percepire compensi in denaro.
Negli ultimi anni tutto questo è però sempre stato coperto da un alone di mistero: le sponsorizzazioni apparivano spesso come pubblicità occulta, gli influencer glissavano quando gli veniva chiesto se l’oggetto protagonista dello scatto fosse un regalo e soprattutto, in molti casi, tanti di loro si sono trovati nella condizione di dovere o volere sponsorizzare beni assolutamente lontani dai propri gusti. Business.
La condivisione di immagini scattate in luoghi meravigliosi del mondo, di ritratti pieni di ispirazione, di elegantissimi arredamenti d’interni e spettacolari panorami urbani ha col tempo lasciato spazio ad un vero mercato senza regole e lontanissimo da quell’ideale di estetica proprio dell’arte fotografica. Ed è qui che sono cominciate le grane per questi nuovi testimonial.
L’antitrust ha finalmente imposto che ogni pubblicazione su Instagram sia accompagnata da opportune diciture scritte per specificare che quello stesso post è di fatti una pubblicità e così di punto in bianco le carte sono state scoperte e i fan degli utenti più influenti hanno capito che abiti, gioielli, borse, integratori e beveroni non erano altro che oggetti “spinti” sotto compenso e molto spesso senza una reale convinzione da parte dell’influencer. Questo ha fatto sì che molti possibili follower-clienti hanno smesso di dare credito ai propri beniamini fotografi sentendosi traditi nella propria fiducia, molti altri hanno invece preso atto che chi loda un prodotto perché pagato, anche senza crederci, non fa altro che un lavoro come un altro.
Instagram è oggi una vetrina commerciale: profili di aziende di qualsiasi categoria merceologica, post sponsorizzati, decine di influencer più o meno autorevoli che pubblicizzano abiti, accessori, ristoranti, alberghi (dietro compenso, ovviamente, con la promessa di parlarne bene) e, peggio ancora, tisane, integratori, cibi preparati, bevande capaci di ogni tipo di beneficio per la salute senza avere la minima preparazione in campo medico o dietologico: in sintesi una sorta di bugia o, a voler essere categorici, di truffa.
Come tutto ciò che coinvolge un numero sempre crescente di persone, anche Instagram sembra destinato a vivere un’epoca difficile e oscura dove tutto quello che rovina i social network – mancanza di meritocrazia, scorciatoie, denaro, pochezza di contenuti – supera abbondantemente lo scopo per il quale l’applicazione è stata creata. Con grande delusione di chi clicca sull’icona della fotocamera per condividere qualcosa di esteticamente valido e non per fare una pubblicità spesso occulta.
Gabriele Amoroso