Verso l’agrobiodiversità
Al grido di #Fridaysforfuture si è formata una lunghissima catena che unisce gli studenti di tutto il mondo. Scesi in piazza per l’ambiente affinché conservarlo per il loro futuro soprattutto, l’azione globale speriamo sia un’eco che scuota politici e autorità importanti, e che svegli le coscienze
Vogliamo questa volta prendere spunto dalla manifestazione dello scorso venerdì 15 marzo, e quella che seguirà il 19 aprile a Roma, #Fridaysforfuture appunto, in cui i giovani di tutto il mondo si sono riversati nelle strade delle loro città a favore della Terra, del clima e del conseguente cambiamento per un ambiente più sostenibile.
Da tempo desideravamo parlare di Ecologia e di questo vasto argomento, un macro mondo che include in sé tante micro aree di interesse, le quali cominciano a diramarsi e fare notizia.
Tale tematica è divenuta più grande di quanto non sembri e diversi sono i metodi da adottare per delle giuste migliorie. Ci dovremmo infatti sentire tutti parte in causa e al tempo stesso mobilitarci verso una maturazione sostenibile del pianeta. Se pensiamo che questa catastrofe ambientale è frutto di scelte politiche vergognose e modelli di sviluppo negativi è altresì vero che le abitudini personali poco morigerate compongono il quadro non consolatorio.
A dare inizio al processo di sensibilizzazione mondiale è la giovane svedese Greta Thunenberg. Lei, da tempo, ogni venerdì non va a scuola per sedersi davanti la Sede del Parlamento Svedese con cartelli e messaggi green, e con uno specifico che annunciava lo “sciopero scolastico per il clima”. Asserisce fiera: “Non mi fermerò. Non fino a quando le emissioni di gas serra non saranno scese sotto il livello di allarme“. I giovani si sono sentiti coinvolti ma non solo loro devono agire a detta della piccola dalle lunghe trecce bionde: “Ragazzi per il clima non c’è più tempo anche gli adulti devono agire”. Greta esorta quindi i suoi coetanei verso un pensiero che stimola riflessioni e che sa riunire l’intera collettività: “Non saremo noi a cambiare il mondo, non si può aspettare che cresciamo. È necessario che i grandi agiscano adesso“.
Siamo dunque tutti contaminati e parte in causa, persone e ambiente stesso e, d’altro canto, bisogna pur iniziare a stimolarci per avviare una pulizia globale del pianeta: i mari, dal Nord al Sud, da Est a Ovest, sono invasi della plastica immersa nelle acque cristalline; le emissioni di CO2 depauperano l’aria che per gli esseri umani diventa nociva. Strade cittadine, spiagge, boschi e qualsivoglia altro tipo di percorso praticabile a piedi, invece, sono lasciati in balia dei rifiuti che giacciono a terra e rinsecchiscono al sole. Intorno a questa ampia tematica inoltre si continuano a propagare catene ed eventi organizzati sui social per dar voce alle iniziative che invitano costantemente a pulire l’habitat che ci circonda da materiali di scarto e inquinanti.
In questo contesto vogliamo però focalizzarci sul sistema alimentare, grande inquisito e sorgente di inquinamento. Proprio dal paese sito a Nord della Penisola Scandinava oltre che la voce di Greta arriva l’eco dell’uso degli antibiotici, ormai diminuito soprattutto in campo alimentare-animale.
Qui, per esempio, si combatte e si riduce l’utilizzo di tali prodotti, inducendo di conseguenza la popolazione a prenderli quando prettamente necessario (in Italia, al contrario, c’è un impiego maggiore di questi prodotti, 3 volte tanto dei francesi e 5 volte tanto dell’Inghilterra).
Questo fenomeno è in atto all’interno degli ambulatori medici sin dal 1995, dove sono calate anche le prescrizioni per i bambini; dal 1986, invece, l’utilizzazione degli antibiotici sugli animali si è ridotta ulteriormente. Negli allevamenti si adottano infatti accorgimenti idonei indirizzati alla prosperità degli animali, i quali si trovano a vivere più liberi, più larghi, non in gabbia quindi, e in spazi più ampi. Sono molto importanti le cautele adottate prima di entrare negli allevamenti, allo scopo di non contaminarli e non contagiare gli esseri che li abitano. Inoltre, un’altra sfaccettatura del problema è che noi, nell’ingerire carne o pesce ricca di antibiotici, abbiamo acquisito quella che si definisce l’“antibiotico resistenza”, la quale influenza il nostro sistema immunitario, difendendoci anche troppo dalle infezioni, con il rischio di morte.
Il sistema alimentare è difatti uno dei primi colpevoli: oltre ad essere origine e vittima delle temperature in aumento, dell’innalzamento delle acque, della diminuzione delle biodiversità e della continua frequenza di eventi climatici rilevanti da un lato, dall’altro deve pensare alla nutrizione e alla sopravvivenza di tutta la popolazione. Tuttavia si prendono in analisi alcuni dati: se da una parte si soffre di fame, dall’altra si muore per obesità. Questo accade dove un terzo della produzione totale di cibo viene sperperata e l’agricoltura è ritenuta responsabile del 21% delle emissioni di gas serra.
Come si può ovviare a questa questione?
Ogni consumatore, per esempio, dovrebbe dissipare il 30% di carne in meno, scegliendo quindi quella proveniente da allevamenti locali o estensivi – quelli più vicini alle abitudini e al benessere del bestiame, partendo dal pascolo libero – sia per ridurre le emissioni di 1000 chili di CO2 circa durante l’arco dell’anno, sia per diminuire la deforestazione per la necessità di pascoli e campi per gli animali.
Non solo la carne rientra in questa circostanza, anche il pesce ha la sua rilevanza. Gamberi tropicali e salmone, per esempio, provengono da allevamenti intensivi e nocivi, che fanno uso di antibiotici quali, di conseguenza, inquinano acque e cibo.
Dovremmo dirottare quindi le nostre scelte verso i mercati stagionali e a “Km 0” dove si trovano alimenti freschi e che pertanto “percorrono” pochi chilometri.
Quando andiamo a fare la spesa dovremmo inoltre dedicare tempo alla lettura delle etichette per conoscere storia e provenienza dei prodotti che desideriamo acquistare. Se cominciamo ad essere noi i primi più attenti e a muoverci con consapevolezza anche chi ci governa si accorgerebbe del cambiamento in atto.
“Spreco alimentare. Approccio sistemico e prevenzione strutturale”: grazie a questo studio, nuovo in materia ambientale e socio-economica, si approfondiscono le connessioni più salienti tra sistemi alimentari e altre fenomenologie. Esso tocca la letteratura internazionale per arrivare alla costruzione di una visione d’insieme socio-ecologica, intesa come tutto ciò che riguarda il consumo del suolo, l’acqua, risorse energetiche, bioeconomia circolare e tanto altro. Si esaminano quindi cause e condizionamenti nel sistema alimentare (per esempio, la dissipazione è minore nelle reti locali, solidali e di piccola entità rispetto a quelle commerciali). E’ necessario pertanto recuperare e riciclare l’esubero, riducendone formazione e conseguenti scarti.
Politiche alimentari olistiche e partecipate: è uno dei punti cardine dello Studio sullo Spreco alimentare. Rinchiude in sé una progettualità settoriale che include molte aree: scuola e urbanistica; i territori disponibili; strutturazione di modelli alimentari sostenibili per una produzione, distribuzione e consumo più oculati; spazi verdi; educazione alimentare e nutrizionale; appoggio alle reti alimentari locali, di piccola entità, ecologiche e solidali; tutela delle coltivazioni contadine e terre connesse; agroecologia in aree sia naturali, sia campestri; valore all’agrobiodiversità; agricoltura sociale, urbana e all’interno di luoghi abbandonati da restituire alla collettività; infine, combattere il lavoro in nero in campo agroalimentare, ricerche più approfondite e rendere gli abitanti più attivi in reti comuni dal basso.
Si può considerare tuttavia che nessun paese europeo è autosufficiente a livello alimentare, e le disuguaglianze mondiali dei singoli paesi sono ancora enormi. Denutrizione, malnutrizione, obesità ed eccesso di peso sono problemi legati anch’essi allo spreco alimentare. Alla base di un discorso socio-ecologico si tiene conto di altre forme di dispendio: la sovralimentazione; i regimi dietetici; la perdita dei nutrienti fondamentali del cibo; i biocombustibili, prodotti non commestibili adatti a noi; infine, le perdite dei raccolti; i prodotti alimentari utilizzati nel nutrire gli animali allevati.
Non è solo il cibo che diventa rifiuto: gli effetti dannosi sull’ambiente sono dovuti anche alla produzione industriale degli alimenti e in altri sistemi finanziarizzati, con il fine di apportare migliorie alle produzioni e prevenire le eccedenze.
Dati alla mano, emerge che la causa principale della perdita alimentare è la sovrapproduzione degli eccessi alimentari: “a ogni incremento di fabbisogno (+0.1%) corrisponde un aumento ben maggiore di offerte e consumi (+1,0% circa), innescando quindi incrementi giganteschi di eccedenze sprecate (+3,2%). Viceversa dove produzione e forniture calano, anche gli sprechi scendono“.
L’andamento medio nasconde anche l’aumento delle condizioni nutrizionali estreme e alcune patologie ad esso correlato (chi soffre di fame, obesità e malnutrizione, etc), configurando un quadro disfunzionale dovuto alla crisi ecologica e climatica: da un lato diminuiranno le produzioni alimentari, dall’altro sarà sempre più difficile reperire le risorse necessarie. Povertà, instabilità sociale, guerre e migrazioni saranno le conseguenze future inarrestabili.
Come superare questo tipo di sistema?
Come già abbiamo avuto modo di comprendere gli impianti agroalimentari-industriali sono la causa essenziale sia dell’alterazione della biodiversità su cui si basa il 70% del totale della vita del Pianeta, sia della resilienza socio-ecologica e della distruzione dell’ambiente e degli ecosistemi, come anche di altre concause (estinzione delle specie animali e vegetali; inquinamento delle acque e del suolo mediante fertilizzanti; deforestazione; emissioni di gas serra (impattano per il 30%) e altre alterazioni). Vi sono tuttavia delle soluzioni che potrebbero risollevare le sorti della Terra: per garantire infatti la tutela ambientale, nonché la corretta sicurezza sociale dei sistemi agroalimentari, è necessario assicurare l’autosufficienza di persone e di territori, soprattutto la loro cooperazione.
Per esempio, se riconfiguriamo il sistema e smettiamo di credere che serva aumentare la produzione per sfamare tutti con il conseguente abbandono del territorio, al contrario approcciarsi a sistemi innovativi favorisce l’applicazione in agricoltura di principi scientifici dell’ecologia, valorizzandone le richieste politiche e sociali, quindi di chi lotta a favore della “sovranità alimentare”.
L’“agrobiodiversità” pertanto riduce drasticamente gli impatti ambientali, si adatta ai cambiamenti climatici e restituisce centralità ai contadini e alle popolazioni locali, affinché la produzione sia durevole e nutriente. Si evince che l’agricoltura ecologica in piccola scala genera meno sprechi e produzioni maggiori rispetto le agroindustriali, di conseguenza consuma meno risorse: “le migliori prestazioni produttive emergono già nel medio periodo e si consolidano nel lungo periodo“. Rispetto la scala globale dunque l’agricoltura di piccola scala sebbene abbia una percentuale del 25% di terreni utilizzati riesce a produrre il 70% del totale: è quindi necessario ridurre parallelamente le forme di sperpero alimentare.
L’intenzione consequenziale prevede una diminuzione del fabbisogno totale della popolazione mediante pianificazioni consistenti in politiche familiari, assistenziali, educazione sanitaria, sessuale e riproduttiva; anche limitare la diffusa offerta commerciale e il troppo consumo, incoraggiare le diete con inserimento di prodotti vegetali più che di origine animale e ipercalorici, apporterebbe maggior qualità al sistema.
Reti solidali: esse operano in modo positivo sui fronti della dissipazione. Dalla riduzione delle intermediazioni ai condizionamenti, coordinano in maniera migliore le capacità naturali, le produzioni, i consumi come il fabbisogno; favoriscono la consapevolezza delle persone, garantiscono valori equi e condivisi; gestiscono gli avanzi in modo efficace. Resilienza, stabilità, durata, auto-sostenibilità, autonomia, diversificazione, reciprocità e altro sono le caratteristiche da incentivare. Infine, affinché ottenere prestazioni vantaggiose e per un opportuno cambio strutturale del sistema alimentare è necessario che i sistemi alternativi quali ecologici, solidali, locali e di piccola scala si presentino nel contempo.
Progettazione e gestione di reti solidali: qui rientriamo in un discorso di Economia Solidale che bisognerebbe sostenere e riconoscere attraverso leggi mirate tanto da rendere possibile lo sviluppo locale, affidandosi soprattutto ad amministrazioni territoriali già esistenti e cooperanti, partendo proprio dalle stesse Regioni, per un ulteriore arricchimento territoriale a sostegno dei piccoli produttori. Ricostituire cioè percorsi alternativi che prevedano anche il recupero di edifici abbandonati, al fine di utilizzare i fondi europei destinati all’agricoltura. Studi idonei sarebbero inoltre mirati ad analizzare i flussi alimentari su base territoriale al fine di comprendere le capacità ecologiche, il fabbisogno generale, come impatti ambientali, relativi consumi e produzioni.
Ebbene, il diramarsi delle bioeconomie del recupero – l’Italia è all’avanguardia grazie alla Legge 166/2016 – dell’efficienza e del riciclo mediante attività e strutture circolari dovrebbero rendersi necessarie affinché si riducano consumi e si diffonda l’economia solidale. Aree che divengono dunque indispensabili per una corretta bioeconomia circolare, al fine di eliminare lo smaltimento dei rifiuti e mantenere nei margini l’emergenza alimentare: avvantaggiare le strutture autonome e il senso di responsabilità individuale serve senz’altro a coadiuvare gruppi sociali coesi e soprattutto l’uguaglianza.
“In definitiva per ristabilire condizioni di sicurezza socio-ecologica gli sprechi sistemici in Italia dovrebbero essere prevenuti e ridotti fino ad almeno il 25% degli attuali“: il destino comune mira a rendere cibo sano ed ecologico un diritto per tutti. Inteso come bene comune da preservare gli va riconosciuto valore sociale, culturale ed economico, sia assicurando condizioni imparziali per chi lo produce e per chi vi si accosta, sia evitando il commercio e la comunicazione social, contesti in cui gli alimenti in generale sono divulgati come bene di “status posizionale” ovvero inseriti in spazi poco rilevanti: food influencer, show cooking, chef stellati, food design, food porn, diete inventate.
Annalisa Civitelli
Foto dal web